Se la familiarità è senza famiglia / Cronaca dal Sud
Caro Emma,
per non disattendere al mio compito di corrispondente per Emmaboshi anche da qui, dal Sud, rinuncio al piacevole stordimento che procurano questi raggi del sole violenti e rientro in casa per scriverti. Là fuori continuano senza di me a passare larghe pennellate di blu e di bianco.
Due sere fa ho preso un treno storico: la Freccia Adriatica, Torino-Reggio Calabria. Su quel treno per quattro volte all’anno, da sempre, ho aspettato per ore di arrivare per poi ritornare. Mia madre portava un piccolo cuscino ricamato e una coperta di lana per coprirmi durante la notte. Ad ogni viaggio la coperta si allungava di un po’ fino a quando non è arrivato il giorno, anzi la notte, che la coperta non è riuscita più a coprirmi i piedi, e allora l’abbiamo riposta, lavata e stirata, nel baule del corredo, in attesa di proteggere dal freddo i miei bambini…
Salire sullo stesso treno da sola con un iPod in mano e un portatile sulle ginocchia non fa lo stesso effetto. Eppure il paesaggio fuori dal finestrino è sempre lo stesso. Stessi ulivi, stesse colline, stesso mare, stesse case mai finite.
Da quando sono qui, devo ammettere, inizio a sentirmi come una donna maritata del posto. Ogni giorno trascino le borse della spesa lasciando ondeggiare i fianchi generosamente e resisto a stento alla tentazione di togliermi i jeans per una gonna stretta in vita sospesa su tacchi alti. Entrare pienamente nella parte richiederebbe questo cambio di costume. Solo così rispetterei quella precisa identità che il luogo richiede e che io invece scelgo per ora di non esibire.
Per questo, suppongo, la cassiera del Conad si limita ad un saluto formale, e lascia avanzare la fila senza fare domande, quando ci sono io. Non le risulto familiare.
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